Differenze tra le versioni di "Cenacolo"
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Il tema, forse suggerito a Leonardo dai domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie, è quello del momento più drammatico del vangelo di Giovanni (Gv. 13,21 e seguenti), quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà" e da queste parole gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia; c'è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come '''Giuda Iscariota''', sentendosi subito chiamato in causa. | Il tema, forse suggerito a Leonardo dai domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie, è quello del momento più drammatico del vangelo di Giovanni (Gv. 13,21 e seguenti), quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà" e da queste parole gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia; c'è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come '''Giuda Iscariota''', sentendosi subito chiamato in causa. |
Versione attuale delle 16:13, 8 ago 2010
L'Ultima cena (detta anche il Cenacolo) è un dipinto di Leonardo da Vinci eseguito per il suo patrono, il duca di Milano Lodovico Sforza.
Rappresenta la scena dell'ultima cena di Gesù; il dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli.
L'opera misura 4,6 × 8,8 m e si trova nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Leonardo iniziò a lavorarvi nel 1495 e la completò nel 1498, come testimoniato da Luca Pacioli che in data 4 febbraio di quell'anno ne parla come di un'opera compiuta.
Non si tratta di un affresco, ma di tempera e olio su gesso.
Leonardo, a causa dei suoi lunghi tempi realizzativi e delle frequenti correzioni in vista del risultato finale, non "affrescava", metodo che richiede grande rapidità di esecuzione. Prediligeva invece dipingere su muro come dipingeva su tavola; i recenti restauri hanno permesso di appurare che l'artista usò una tempera grassa a base di olio di lino e di uovo stesa su un duplice strato di intonaco. La tecnica impiegata e l'uso di materiali organici, però, determinò ben presto un degrado dell'opera.
Stupisce nel Cenacolo la presenza di dettagli molto precisi visibili solo da distanza ravvicinata.
Storia del dipinto
Nella novella LVIII (1497) Matteo Bandello racconta come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:
Questo capolavoro ha rischiato di morire più volte nel corso della storia: il refettorio fu prima trasformato in bivacco e stalla dai soldati di Napoleone, poi bombardato durante la seconda guerra mondiale; infatti nell'agosto del 1943 venne distrutta la volta del refettorio durante un bombardamento aereo, ma il Cenacolo rimase miracolosamente salvo tra cumuli di macerie, protetto solo da un breve tetto e da una difesa di sacchi di sabbia ed esposto ad ogni rischio atmosferico.
Il degrado: lento ma inarrestabile
Appena terminato il dipinto, Leonardo si accorse che la tecnica che aveva utilizzato mostrava subito i suoi gravi difetti: nella parte a sinistra in basso si intravedeva già una piccola crepa. Si trattava solo dell'inizio di un processo di disgregazione che sarebbe continuato inesorabile nel tempo; già una ventina di anni dopo la sua realizzazione, il Cenacolo presentava danni molto gravi.
Le cause del degrado furono, oltre alla tecnica utilizzata, l'umidità della parete retrostante, esposta a nord (che è il punto cardinale più facilmente attaccabile dalla condensa), il fatto che tale parete separasse un tempo il refettorio dalle cucine del convento e fosse quindi soggetta a frequenti sbalzi di temperatura, e infine proprio il fatto che il locale che ospita l'opera sia stato adibito per anni a refettorio, esponendo a lungo il dipinto agli effluvi e ai vapori dei cibi distribuiti.
I vari restauri
Nel 1977, dopo molti studi e ricerche, prese il via il più grande e delicato progetto di restauro mai tentato su un'opera d'arte. Un'operazione destinata a durare 20 anni, e a mobilitare scienziati, critici d'arte e soprattutto restauratori.
Nel lavoro di ripulitura ci si è resi conto che il Cenacolo era stato in parte spalmato di cera per essere predisposto al distacco: un distacco, per fortuna mai eseguito.
Oggi, l'opera ha guadagnato dei particolari che appaiono dotati di una luminosità e freschezza cromatica finora insospettate. Il colore è usato nei toni della luce. Luce le cui sorgenti sono una finestra reale del refettorio e le tre dipinte sul fondo, che si aprono su un cielo teso all'imbrunire.
Un particolare aspetto fino ad oggi trascurato ed emerso dal restauro è la presenza di un paesaggio ben preciso che, secondo uno studio recente potrebbe appartenere al territorio dell'alto Lario. In particolare è apparsa una Chiesa con un campanile ottagonale che può essere identificata nell'antica abbazia cluniacense di Piona.
Pulizia
Sotto questo impiastro di colle, cera, polvere e vernici, si è scoperto anche il buco di un chiodo piantato nella testa del Cristo: è il punto di fuga usato da Leonardo per definire la prospettiva di tutti gli altri personaggi.
La ripulitura del Cenacolo ha permesso di riscoprire anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo. Questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo dall'apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina.
Zone mancanti
Una volta eliminate le ridipitture, e ritrovata l'opera originale di Leonardo, i restauratori si erano posti il problema di come riempire le parti mancanti. In un primo tempo le zone mancanti erano state riempite semplicemente con un colore neutro; poi si è deciso di dar loro dei colori leonardeschi, basati sui frammenti ritrovati, e anche sulle copie d'epoca del Cenacolo.
Lettura dell'opera
- «Dì, chi è colui a cui si riferisce?».
Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse:
- «Signore, chi è?».
Rispose allora Gesù:
- «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò».
Il tema, forse suggerito a Leonardo dai domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie, è quello del momento più drammatico del vangelo di Giovanni (Gv. 13,21 e seguenti), quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà" e da queste parole gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia; c'è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come Giuda Iscariota, sentendosi subito chiamato in causa.
Una moltitudine complessa di sentimenti e movimenti, che Leonardo cerca di rappresentare soprattutto attraverso i gesti delle mani e le espressioni dei volti, che però si fonde in una armonia di semplicità e bellezza unica, che rende questo dipinto uno dei più belli e citati del mondo.
Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello, come in moltissime altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena, e, chinandosi impetuosamente in avanti, con la sinistra scuote Giovanni chiedendogli "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24).
Giuda, davanti a lui, stringe la borsa con i soldi ("tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29), indietreggia con aria colpevole e nell'agitazione rovescia la saliera.
All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati il loro smarrimento e la loro incredulità.
Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui Filippo porta le mani al petto, protestando la sua devozione e la sua innocenza.
Al centro è raffigurato Cristo con le braccia aperte che, in un gesto di quieta rassegnazione, costituisce l'asse centrale della compositiva. Se per esempio si traccia una ipotetica linea che va dal volto di Filippo (l'apostolo più in alto) a quello di Giuda (non a caso l'apostolo più in basso) questa passa esattamente dal volto di Gesù. E molte altre sono le simmetrie nascoste.
Le figure degli apostoli sono rappresentate per esempio in un ambiente che, dal punto di vista geometrico, pur essendo semplice è estremamente preciso. Attraverso semplici espedienti prospettici (la quadratura del pavimento, il soffitto a cassettoni, gli arazzi appesi alle pareti, le tre finestre del fondo e la posizione della tavola) si ottiene l'effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, tale da mostrarlo come un ambiente nell'ambiente del refettorio stesso, una sorta di raffinato trompe l'oeil.
La probabilità che certi particolari della composizione possano essere stati suggeriti dai domenicani è data dal fatto che questo ordine religioso dava grande importanza all'idea del libero arbitrio: l'uomo non sarebbe predestinato al bene o al male ma può scegliere tra le due possibilità.
Giuda infatti nel dipinto di Leonardo è raffigurato in modo differente dalla grande maggioranza delle ultime cene dell'epoca, dove lo si vede da solo, al di qua del tavolo. Leonardo raffigura invece Giuda assieme agli altri apostoli.
Altra evidente differenza tra l'opera di Leonardo e quasi tutte le ultime cene precedenti è il fatto che Giovanni non è adagiato nel grembo o sul petto di Gesù (Gv. 13,25) ma è separato da lui, nell'atto di ascoltare la domanda di Pietro, lasciando così Gesù solo al centro della scena.
Che la scena raffigurata da Leonardo derivi dal quarto vangelo è intuibile, oltre che dal "dialogo" tra Pietro e Giovanni, dalla mancanza del calice sulla tavola. Diversamente dagli altri tre, detti vangeli sinottici, nel quarto non è descritta la scena che viene ricordata durante la messa al momento della consacrazione: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27).
Giovanni, dopo l'annuncio del tradimento, scrive invece così: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri." (Gv. 13,34).
Curiosità
Si dice che lo stesso Leonardo Da Vinci abbia voluto ritrarre sé nel quadro nel ruolo di un apostolo, più precisamente nel ruolo di Giuda Taddeo.
I colori celeste e rosso rappresentano un classico nell'iconografia del Cristo e della Madonna infatti, simbolicamente, sono ritenuti i colori del terreno (celeste) e divino (rosso) che rispecchiano, peraltro, proprio la condizione di umano e divino del Cristo del cenacolo vinciano. Un Cristo che ha di fatto ultimato la sua missione terrena e si appresta a salire in cielo.
L'assenza del calice si spiega inoltre per aver dato al dipinto la valenza di un episodio reale ripulendolo di ogni carattere leggendario ed anche evangelico. Infatti mancano i segni distintivi di un cenacolo "classico": manca l'aureola sulla testa del Cristo, manca il calice anche perché il momento scelto dall'autore è quello di massima provocazione per ottenere la massima reazione degli astanti (uno di voi mi tradirà) e non quello ieratico dell'Eucaristia.
Un'altra curiosità: per proteggere il dipinto dai bombardamenti , era stata fissata una protezione composta da sacchi di sabbia, tenuti fermi da un'impalcatura in metallo, per proteggere dalle schegge delle bombe il famoso dipinto .
Riguardo al famoso coltello impugnato da Pietro, ad una visione ingrandita del dipinto, sembra che Pietro in realtà fermi la mano che porta il coltello, ma non lo impugni lui stesso. Potrebbe trattarsi di un effetto visivo dovuto al fatto che il polso di Pietro è più scuro della mano, e ciò darebbe infatti l'illusione che si tratti di due mani differenti.